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Terrorista o marionetta?
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Faisal Shahzad, il pakistano-americano trentenne, è accusato dunque di terrorismo internazionale  nonchè di «tentato uso di un’arma di distruzione di massa». Ossia il SUV Nissan Pathfinder che ha piazzato in Times Square a Manhattan.

Notevole, anzitutto, l’elasticità che la terminologia assume in questi casi. Una volta, «armi di distruzione di massa» erano le testate atomiche, i bombardamenti al fosforo su Dresda nel ‘45 (250 mila inceneriti), magari i proiettili all’uranio impoverito (anzi no, quelli no), i gas nervini tipo Sarin.

Poi anche l’antrace è diventato arma di distruzione di massa. Più tardi, hanno assunto il titolo di «armi di distruzione di massa» i razzi lanciati da Gaza assediata su Sderot. Adesso è arma di distruzione di massa un Suv con propano, benzina, fuochi d’artificio come innesco e un bel po’ di fertilizzante «del tipo che non esplode», hanno precisato gli inquirenti. (Times Square bomb used non-explosive fertilizer)

Secondo l’accusa Shahzad «ha ricevuto addestramento in esplosivi in Waziristan», Pakistan, dove notoriamente si nascondono «i capi di Al Qaeda».

Tocca di  nuovo far notare la prodigiosa estensione semantica dei termini. Di norma, si ritiene che un terrorista «addestrato in esplosivi», specie in Waziristan, sia effettivamente in grado di far esplodere un ordigno da lui fabbricato. O, come minimo, di riconoscere un fertilizzante esplosivo da uno che non esplode. Invece, Shahzad non è stato in grado di far esplodere non si dice il propano, ma neppure i fuochi d’artificio. Un venditore ambulante di Times Square (per inciso, un senegalese musulmano) ha visto un po’ di fumo uscire dall’auto, ed ha avvisato la polizia.




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Decisamente, i terroristi islamici stanno peggiorando in quanto ad armi di distruzione di massa; dalla magnifica performance che distrusse le Twin Tower al bombardiere con la bomba nelle mutande (ustioni ai genitali: di massa), fino a Shahzad con il fertilizzante non esplosivo, c’è veramente da rattristarsi: il decadimento dell’istruzione in Waziristan è ancor più rapido del degrado della scuola pubblica italiana. Entrambe diplomano analfabeti.

Per di più, Shahzad ha comprato il SUV di seconda mano, a proprio nome. I suoi maestri in Waziristan non gli avevano spiegato che le auto da trasfomare in  bombe, per prudenza, è meglio rubarle?

In compenso,
Shahzad è stato abilissimo a sfuggire alla caccia all’uomo che già lo braccava (gli investigatori sapevano già il suo nome e le sue fattezze), e ad infilarsi in un volo degli Emirati per Dubai. Come hanno raccontato i media, «incalzato dagli agenti federali, Shahzad è salito a bordo del volo Emirati 202. Aveva prenotato un biglietto mentre andava al Kennedy Airport» evidentemente con un cellulare, «ha pagato in contanti all’arrivo, ed è passato per i servizi di sicurezza senza essere fermaro. Quando i funzionari del Custom and Border Protection, usando una “lista no-fly” aggiornata martedì, hanno notato il nome di Shahzad sulla lista dei passeggeri e l’hanno riconosciuto come il sospetto bombardiere che stavano cercando, egli era già al suo posto nell’aereo, che si preparava al rullaggio».

Shahzad ha dunque preso prenotazione, biglietto e posto a sedere usando il suo vero nome. Era già in una lista «no-fly», insomma di persona da non far volare. Abilissimo. O no?

Ora, non so se avete idea di cosa vi accade, in USA, se volete imbarcarvi su un volo internazionale ed avete nome, faccia, passaporto, o visto da Paese musulmano.

Gordon Duff
   Gordon Duff
Gordon Duff, l’ex marine, ex diplomatico ONU, direttore di Veteran Today e tenutario di un vivacissimo blog – e con una faccia per nulla islamica, come si vede dalla foto – ha avuto un’esperienza simile e la riporta così:

«Con un visto pakistano sul mio passaporto, firmato dal loro attachè militare dell’ambasciata di Washington, la settimana scorsa  mi è stato vietato l’imbarco su un volo Air France. Soltanto dopo che il ministero della Homeland Security ha ricevuto la notifica, mi è stato consentito di salire su un altro volo. Si vede che ho bisogno di più amici israeliani, se voglio passare più velocemente negli aeroporti». (GOP and FOX NEWS Campaign Continues to Stamp Israeli Brand On Time Square Bomber)

L’allusione è al bombarolo in mutanda, il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, che il 25 dicembre 2009 fu fatto imbarcare senza problemi dall’aeroporto di Amsterdam, dove la sicurezza è notoriamente gestita da israeliani; anzi, secondo testimonianze credibili, Umar fu fatto salire senza visto per gli USA, in quanto accompagnato da un elegante signore che chiese al personale di controllo questo favore: «Viene dal Sudan... Noi lo facciamo sempre».

Anche Umar è incriminato per tentato uso di armi di distruzione di massa (quelle che un vero uomo porta nel cavallo dei pantaloni) e attende il processo in un carcere del Michigan. Appena arrestato ha detto di aver ricevuto l’arma di distruzione di massa da Al Qaeda in Yemen.

Strano come questi terroristi, ancorchè rei confessi, scompaiano in attesa di processi che non arrivano mai.

Malik Nadal Hasan
   Malik Nadal Hasan
Per esempio, che ne è del maggiore Hasan, lo psichiatra militare che secondo l’accusa, il 5 novembre 2009 ha fatto una strage nella più grossa base americana, Fort Hood? La sua colpa sembrava così certa: ha sparato 100 proiettili gridando «Allahu Akbar». Invece, di recente, la Casa Bianca ha rigettato una richiesta giudiziaria di consentire ai militari testimoni del fatto di deporre.

Secondo una versione complottista, a Forth Hood avrebbero sparato più di due soldati, impazziti dopo aver saputo che sarebbero stati di nuovo, per l’ennesima volta, ridispiegati in Iraq. Secondo questa versione, il maggiore Hasan sarebbe una vittima della sparatoria, più che un omicida. Chissà cosa potevano deporre quei testimoni che Obama non ha voluto lasciar parlare.

Ma torniamo a
Shahzad, che è quasi riuscito ad imbarcarsi avendo il passaporto pieno di timbri pakistani e, inoltre, una faccia così:
 
Appena arrestato, scrive CNN, «ha rinunciato al diritto di restare in silenzio e ad avere un avvocato, ed ha dato informazioni sul complotto agli investigatori».

Ah,
Shahzad, Shahzad: è forse questo il comportamento di un incallito terrorista? Subito a spifferare? A collaborare? Senza nemmeno produrti in quella frase che avrai sentito dire in tanti film americani: «Non rispondo alla domanda, perchè potrebbe incriminarmi»?

Lo ha fatto Al Capone, lo ha fatto Madoff. Lo hanno fatto persino i partigiani immaginari della canzone milanese della mala, cavallo di battaglia della Ornella Vanoni: «.... A san Vitur a ciapà  i bottt... mi sun de queèi che parlen no».

Ma che cosa diavolo vi insegnano, in Waziristan?

Ha detto anche di aver agito da solo. Però è certo che aveva dei complici in Pakistan, prontamente arrestati. Chissà se complici o provocatori, tipo certi agenti di polizia dei tempi della «strategia della tensione», che davano bombe a diciotteni neri. Chissà.

La sola cosa appurata è che
Shahzad ha un master in business administration preso l’università di Bridgeport, dunque con cultura superiore; sposato ad una laureata che parla cinque lingue, Uma Mian, aveva un bel posto in una ditta finanziaria, anche se non a livelli alti. Avevano comprato una casa da 273 mila dollari nel 2004, al massimo del boom dei prezzi immobiliari.



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Poi, aveva smesso di pagare il mutuo, quando il valore della casa era crollato – come qualche milione di americani – e deve ancora 200 mila dollari. «Che se la riprenda la banca», aveva detto all’agente immobiliare che gli proponeva di tentar di vendere la casa. Un sogno infranto. Aveva poi anche lasciato il lavoro.

Magari uno che ha attraversato una simile storia è anche disposto a mettere una bomba, se qualcuno lo istruisce. Bene, però. (Times Square bombing suspect's life had unraveled)


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