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Israele celebra l’Armata Rossa, e Mosca la Shoah - Pagina 2
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Ebbene, la visita di Netanyahu a Mosca ai primi di febbraio è stata un successo. Ancora il 6 dicembre scorso, il Cremlino aveva rigettato forti pressioni da Obama e dalla Clinton per riconoscere Israele «come Stato ebraico» (ossia razziale) «dentro confini sicuri», opponendo che la dizione «confini sicuri» – quelli che Israele ha occupato in terra altrui, in modo illegale secondo una settantina di pronunce dell’ONU – predeterminava il risultato di negoziati che devono ancora avvenire (e che Israele non vuole).


Ma Netanyahu, è un’altra cosa. La stessa stampa israeliana ha ammesso che gran parte delle campagne elettorali di «Bibi» sono finanziate dalla mafia russa, ossia russo-ebraica.

Questa è una forza economico-politica di prima grandezza. Su 950 mila ebrei-russi che sono emigrati in Israele, il 10% sono membri della criminalità organizzata, che hanno trovato nello Stato ebraico un santuario (niente estradizione per gli eletti) e una base insostituibile per i loro business: donne slave da avviare alla prostituzione (che i caporioni si scambiano a 10-15 mila dollari l’una per i bordelli di Tel Aviv, ma anche di Londra e Miami), droga, e contrabbando d’armi.

William Boykin
   Victor Bout
Quest’ultima attività fa della mafia cosiddetta russa un braccio occulto delle politiche israeliane: le vendite di armi in cui Israele non deve apparire ufficialmente sono compiute attraverso il braccio illegale. Per esempio, la fornitura di armi moderne alla Georgia, da usare contro Mosca nel breve conflitto dell’estate scorsa, lo Stato ebraico l’ha eseguita attraverso il gangster Simon Mogilevich, che negli anni del collasso sovietico ha comprato fabbriche di sistemi anti-aerei in Ungheria, e anche una quota della famosa fabbrica di aerei bellici Sukhoi. Un altro mercante è Ludwig Fainberg detto «Tarzan», che abita a Miami indisturbato dall’FBI benchè noto narcotrafficante (ha tentato di vendere sottomarini russi al cartello colombiano di Cali), e non va dimenticato Victor Bout, il maggiore mercante d’armi del pianeta, ebreo-ucraino, che fornisce armi ai separatisti del Darfur, alle FARC colombiane, a chiunque paghi: anche gli Stati Uniti si sono serviti dei suoi  discreti trasporti, e della sua flotta di colossali Antonov. (The Global Reach of the Judeo-Russian Mafia)

E’ ovvio che questo traffico viene da solidi legami d’affari con ambienti russi, post-sovietici, militari, che pescano negli enormi arsenali della vecchia URSS per fornire il mercato. Si ha ragione di credere che, nella sua visita a Mosca, Netanyahu sia stato ben «presentato».

Netanyahu è andato a convincere i russi che l’Iran si sta facendo la bomba atomica. Il colloquio con Medvedev è avvenuto secondo le più rosee aspettative: «Ho fiducia in ciò che sento dal presidente russo le cui decisioni sono guidate dalle preoccupazioni per la stabilità regionale», ha detto Bibi uscendo dalla conversazione. Anche il colloquio con Putin è andato bene. E’ stato facile lusingare il semplice nazionalismo russo, annunciando che Israele intende innalzare un monumento all’Armata Rossa per ricordarne il ruolo cruciale nello sconfiggere il nazismo (1). Putin ha ricambiato promettendo una mano nella costruzione di un memoriale dell’Olocausto a Mosca.

Secondo il Cremlino, il contributo di sangue russo nella Seconda Guerra Mondiale viene sistematicamente sottovalutato. Ventidue milioni di morti nella «grande guerra patriottica», e ben poco riconosciuti da coloro che dovrebbero ad essi gratitudine.

Davanti alla rapidissima invasione germanica, l’armata rossa fece evacuare con estrema rapidità 2,3 milioni di ebrei dai territori minacciati di occupazione:

«Il potere sovietico ha noleggiato migliaia di treni apppositamente per l’evacuazione degli ebrei... Al pari degli alti funzionari, degli operai dell’industria e degli impiegati, gli ebrei erano prioritari», scriveva nell’estate 1946 lo storico E.M. Kulisher sul bollettino «Khaiasa». Nel 1947 l’americano B. Ts. Goldberg, inviato per il giornale yiddish di new York «Der Tog», interrogò decine di persone su questa questione: «... Tutti hanno risposto che la politica del governo consisteva nel dare la preferenza agli ebrei nell’evacuazione, di salvarne il più possibile».

Ma negli anni ‘80, la musica è cambiata. Nel suo saggio «SSSR, Evrei i Israil» (L’URSS, gli ebrei e Israele) il saggista sionista S, Tsirulnikov ha scritto: «Malgrado le voci secondo le quali il governo (Stalin) si sarebbe dato da fare per evacuare gli ebrei dalle regioni minacciate (...) gli ebrei furono abbandonati alla loro sorte. Di fronte ai cittadini di nazionalità ebrea, il tanto vantato internazionalismo proletario fece fiasco» (2).

Ormai, gli ebrei russi s’erano disamorati del grandioso tentativo di creare il paradiso comunista in terra a cui con tanto vigore avevano contribuito Trotski, Kaganovic (il numero 2 di Stalin, mai sfiorato dalle accuse che hanno travolto la memoria del Capo), Zinovev, Kamenev, e Jagoda il creatore dell’Arcipelago Gulag e 500 mila (su una popolazione ebraica di 3,8 milioni) funzionari degli apparati repressivi sovietici, e volevano solo emigrare in Israele, il nuovo esperimento di paradiso in terra.

In quegli anni, scuotendosi dalle scarpe la polvere della Russia, il poeta emigrato D. Markis, sulla rivista israeliana «Sion» scriveva questi veri:

«Io parlo di noi, figli del Sinai,/che il popolo russo segua un’altra via/non ci interessano gli affari slavi./Abbiamo mangiato il loro pane/ma pagandolo col sangue/.Conserviamo tutti i nostri conti non pagati./Ci vendicheremo, con fiori sul capezzale/ del loro nordico Paese./Quando avrà fine il nostro ruolo servile,/quando si affievolirà il frastuono delle voci,/noi faremo da picchetto d’onore/presso la bara di betulla».

Eppure ben altre cantici aveva intonato Eduard Bagritski (1895-1934), poeta sovietico, quando nella poesia «Febbraio» cantava la rivoluzione e il posto di vice-commissario che vi aveva trovato:

«E il mio orgoglio giudaico cantava - come una corda tesa al massimo. - E molto avrei dato perchè il mio avo - con la palandrana e il berretto di volpe - da sotto il quale cadevano in bianca spirale –  i cernecchi e la forfora imbiancava la barba quadrata - molto avrei dato percè questo avo – potesse riconoscere il suo discendente – nel giovane robusto che simile a una torre – sta in piedi accanto ai fari e alle baionette – di un camion che scuote la mezzanotte».

Tempi felici. Lo stesso aedo del comunismo russo gorgheggia di come, durante un’irruzione di una casa sospetta, trovò una ginnasiale che, prima della rivoluzione, non lo guardava nemmeno. Adesso, per la miseria, era diventata una prostituta...

«Le gettai dei soldi e mi avventai – con gli stivali e con la fondina – senza slacciare la giubba. – Ti prenderò perchè la mia vita è stata timorosa – perchè sono timido – per la vergogna dei miei avi erranti – per il cinguettare di un uccello casuale! – Ti prenderò per vendicarmi – di un mondo da cui non posso uscire (...)».

E ci dava dentro, il Bagritski ormai divenuto padrone, mentre l’Armata di Trotzki scuoteva la mezzanotte e molte altre notti, disciplinando i contadini, le ginnasiali, gli operai in Caucaso, in Ucraina, in Bielorussia, seminando gli sterminii che David Duke rievoca nel suo video. Ma bisognava disciplinare questi russi, «un popolo che attende sempre il momento di servire un carnefice ottuso», come ha recentemente ricordato un altro israeliano d’origine russa (3).

Sì, il monumento all’Armata Rossa in Israele ci sta bene. Era ora che si elevasse; in fondo, è riconoscenza verso i propri avi. I russi ancora non hanno dato abbastanza.




1) Dalle agenzie: Netanyahu ha annunciato a Mosca l`intenzione del suo governo di realizzare entro breve tempo un memoriale per ricordare il ruolo cruciale dell`Armata Rossa nello sconfiggere il nazismo. Il tutto in vista del 65° anniversario della vittoria e prima della prevista visita di Vladimir Putin. Un gesto particolarmente apprezzato dai russi (che contemporaneamente vogliono creare un museo dell`Olocausto a Mosca). Secondo il Cremlino, infatti, il contributo russo nella Seconda Guerra Mondiale viene sempre sottovalutato.
2) Citazioni da A. Solgenitsin, «Due secoli insieme», Napoli, 2007, pagine 410-414.
3) Poesie e citazioni riferite da Igor Safarevic, «La setta mondialista contro la Russia», Milano, 1991.
 

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