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Il Pentagono ha pronto il golpe
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«Gli Stati Uniti si preparano a instaurare la dittatura col pretesto della lotta anti-terrorismo? Che cosa può scatenare la trasformazione? La risposta è ovvia: un altro 11 settembre in USA».

Se lo domanda la Pravda (1): il motivo, uno studio dello Strategic Studies Institute americano, che sta allarmando varie comunità d’intelligence. Firmato da Nathan Freier, un tenente colonnello attualmente professore all’US Army War College, il rapporto è intitolato «Known Unknowns», («Le incognite conosciute»: una frase pronunciata anni fa da Donald Rumsfeld), ed ha come sottotitolo «Unconventional strategic shocks in defense strategy development».

Lo studio - emanato dallo Strategic Studies Institute (SSI), che dipende dall’US Army War College – esordisce in modo chiarissimo: «Come gli attentati dell’11 settembre 2001, la conseguente Guerra al Terrorismo e la insorgenza in Iraq, la prossima sfida importante per la difesa sarà probabilmente una sorpresa tale da dislocare la strategia» (2).

pentagon.jpg Dunque il colonnello Freier annuncia una «prossima sfida», grossissima («strategicamente dislocante») che sarà «una sorpresa». E benchè sia una «sorpresa», sembra saperne molto: secondo osservatori militari, Freier sta riferendo gli esiti di un war game, o simulazione di conflitto e di scenario, che deve aver avuto luogo al Pentagono, e che sarebbe durato otto mesi.

Naturalmente, l’annuncio è criptico, presentato a poco a poco, e  avvolto con cautela nella lingua di legno pentagonesca:

«I più probabili e i più pericolosi shock futuri saranno non-convenzionali. Non verranno da fulminei avanzamenti delle capacità militari dell’avversario; piuttosto, si manifesteranno in modi molto distanti dalla convenzione stabilita della difesa. Massimamente saranno non-militari per origine e carattere e, per definizione, non eventi di competenza specifica della Difesa conducenti all’impiego convenzionale dell’azione del ministero della Difesa».

Se questa frase vi pare poco perspicua, non è colpa del traduttore. Con contorsioni linguistiche, il colonnello sta dicendo che la Difesa (il Pentagono) dovrà agire in campi e operazioni estranei alla sua competenza, che è la difesa contro il nemico esterno.

La frase seguente, ancor più attorcigliata, si avvicina un pochino di più al tema:

Le minacciate sorprese, queste strane incognite conosciute, «sorgeranno da una ‘terra di nessuno’ analitica che separa le usuali e già pensate attività della difesa e la pura speculazione militare. La loro origine consisterà con assoluta probabilità in minacce irregolari, catastrofiche ed ibride ‘di proposito’ (ossia per deliberato disegno ostile) o minacce ‘di contesto’ (che vengono dall’assenza di intenzione o progetto ostile). Delle due, l’ultima è la meno compresa e la più pericolosa».

Apparentemente, sembra la solita rimestatura sulle «minaccia terroristica», il consueto annuncio del prossimo mega-attentato con firma di Al Qaeda, irregolare, catastrofico e «ibrido» (?).

Ma attenzione: questo è solo il primo tipo di sopresa, quella che Freier chiama fatta «di proposito». Ma il suo interesse è per la seconda sorpresa, quella che definisce «di contesto», ossia «che non nasce da un progetto nemico, e nemmeno da un’intenzione ostile». Cominciamo a capire?

Del resto non occorre sforzarsi, perchè più avanti il colonnello Freier diventa esplicito: il Pentagono deve prepararsi a «una violenta dislocazione strategica interna agli Stati Uniti», che può essere provocata da «un collasso economico imprevisto» o dalla «perdita dell’ordine politico o legale funzionante».

E sempre più preciso, Freier continua: «Nella misura in cui eventi di queste genere implicheranno violenza contro le autorità locali, di Stato o nazionali, tali da sopraffare la capacità delle prime due (autorità locali o di Stato, ndr) di riportare l’ordine e proteggere le popolazioni vulnerabili, il DoD (Dipartimento della Difesa, il Pentagono) sarà richiesto di supplire al vuoto».

Per valutare appieno il senso della frase, bisogna ricordare che la Costituzione americana positivamente proibisce l’uso delle forze armate regolari all’interno degli Stati Uniti, contro gli americani, per schiacciare rivolte e imporre l’ordine; a questo scopo può essere usata la Guardia Nazionale, insomma la forza territoriale dei cittadini.

Ma, dice Freier, «Una diffusa violenza civile interna agli Stati Uniti obbligherà l’apparato della Difesa a ri-orientare le sue priorità in extremis per difendere l’ordine interno fondamentale... Un governo americano e un apparato militare che si è cullato nella certezza di un ordine interno a lungo stabile può essere obbligato al rapido disimpegno da alcuni o quasi tutti gli impegni di sicurezza esterna per affrontare la insicurezza umana che si diffonda rapidamente in patria».

Dunque: basta guerre esterne, è il momento di fare la guerra al proprio popolo? Se restasse un briciolo di dubbio, basterà leggere la frase seguente:

«Il DoD può essere obbligato dalla circostanze a mettere le sue vaste risorse a disposizione delle autorità civili per conterere e rovesciare minacce violente alla tranquillità nazionale. Nelle circostanze più estreme, ciò può comportare l’uso della forza militare contro gruppi ostili all’interno degli Stati Uniti. Inoltre, il DoD può essere, per necessità, un perno autorizzato essenziale per la continuità dell’autorità politica in un conflitto civile che colpisca più Stati o la nazione».

Insomma, il Pentagono prevede che il governo civile, più o meno basato sui principii della democrazia elettiva, venga spezzato o sopraffatto da rivolte popolari, dovute alla crisi economica e alla miseria e fame che ne conseguirà; e si pone come il solo centro in grado di «colmare il vuoto», di assicurare la «continuità del potere» con l’uso della forza armata. Un lungo modo eufemistico per dire: dittatura militare.

Ma, conclude Freier, «il DoD è già in difficoltà nella stabilizzazione all’estero (ossia esausto dalle occupazioni di Iraq e Afghanistan, ndr): si immagini la difficoltà di fare lo stesso («stabilizzazione») su vasta scala in patria».

Il quadro ideologico della patologia USA così è completo: difatti, nella storia, a fare i colpi di Stato non sono mai stati gli eserciti vittoriosi, ma quelli sconfitti e umiliati; quelli il cui corpo di ufficiali superiori ha motivo di attribuire le sue sconfitte agli errori e alle falsità del governo civile, che – nella percezione dei militari frustrati – ha mandato allo sbaraglio l’istituzione armata, e che dunque ha perso legittimità agli occhi degli ufficiali.

Può essere l’esito ritardato dell’11 settembre: è da quel momento che la Casa Bianca ha perso legittimità agli occhi dei colonnelli e generali, ben consapevoli che quello era stato un auto-attentato, a cui probabilmente sono anche stati obbligati a partecipare tecnicamente, mandando a morte tremila concittadini.

Ricordo personalmente che a Washington, nelle settimane seguenti all’attacco «di Al Qaeda», si sussurrava in precisi ambienti di un possibile pronunciamento dei militari, una specie di «golpe democratico» per salvare le istituzioni cadute in mano alla conventicola neocon.

Le vaste epurazioni condotte da Rumsfeld, che selezionò rapidamente i suoi yes-men disposti a seguirlo nelle avventure militari previste per non rovinarsi la carriera, sventarono quei propositi, se mai avevano superato la fase delle «voci» e delle speculazioni.

Oggi che l’economia precipita in modo rapidissimo, molte voci prevedono ormai apertamente rivolte popolari.

Gerald Celente, un noto analista di mega-tendenza (è il capo del Trends Research Institute, noto per aver previsto con anni di anticipo il crollo dell’URSS) ha descritto uno scenario in cui, da qui al 2012, gli Stati Uniti saranno sconvolti da una rivoluzione per fame, con rivolte fiscali e «marce di disoccupati» (3).

«Ci sarà una rivoluzione in questo Paese», ha detto Celente in una recente intervista: «Non subito, ma come conseguenza di ciò che vediamo: la presa di Washington da parte di Wall Street, in un golpe senza sangue alla luce del giorno. Nascerà un terzo partito, quando la situazione continuerà a peggiorare. La prima cosa che farà sarà di organizzare rivolte fiscali. Perchè la gente non può permettersi di pagare più tasse scolastiche, tasse sulla proprietà, ogni genere di imposta... Sarà molto brutto, e molto triste. Ci saranno una quantità di senzatetto, come non ne abbiamo mai visto. Ci sono già attendamenti che sorgono come funghi nel Paese, ne vedremo di più».

«Vedremo vaste aree di case vacanti (pignorate) e abitate da squatters. E’ un quadro a cui l’America non è abituata, sarà uno shock; e ci sarà molta criminalità. E la criminalità sarà peggiore di quel che fu nella Depressione del ’29, perchè allora le menti della gente non erano rovinate da queste droghe moderne... Avremo una grande sotto-classe marginale di gente disperata, per di più con la mente chimicamente sconvolta oltre ogni immaginazione».

Il tutto è peggiorato, aggiunge Celente, dalla «denegazione» (denial) del popolo americano, che rifiuta di accettare la vera dimensione della crisi.

E’ «l’incognita nota», il «known unknown» a cui si prepara il Pentagono?

Qui le incognite sono più di quante sembrano. Non è chiaro se lo studio del colonnello Freier  indichi che il Pentagono si prepari di sua iniziativa ad una «transizione» che schiaccerà la vacua promessa di «cambiamento» venuta dal neopresidennte Obama, oppure se questa preparazione allo scenario estremo gli sia stata commissionata dal governo stesso, di fronte a un collasso storico dell’ordine capitalista esistente, per schiacciare la protesta interna.

L’approntamento di campi di raccolta (di concentramento) interni, messo in atto dalla presidenza Bush, può far propendere per questa seconda ipotesi. Come anche la nota del colonnello Freier, evidentemente rivolta al governo: se dobbiamo affrontare la destabilizzazione in patria, almeno richiamateci dalle guerre esterne.

Ma è possibile che per giustificare la dittatura siano in atto diversi scenari, forse confliggenti, forse convergenti.

A questo proposito vale la pena di riportare ciò che ha proclamato Ehud Barak, il ministro israeliano della Difesa, alla recente conferenza dell’Institute for National Security Studies della Tel Aviv University (4): dopo aver rimproverato l’esitazione dell’America ad attaccare l’Iran per distruggere le sue installazioni nucleari, Barak ha avvertito: «Se l’Iran si dota di un’arma atomica, può tentare di aggredire gli Stati Uniti».

Per fare ciò, ha aggiunto Barak, al regime di Teheran basta «un’arma nucleare molto primitiva», del tipo usato «per distruggere Hiroshima», che secondo il sionista Teheran «non esiterà a caricare su una nave, armarla con un detonatore attivato da GPS e a fare rotta per un porto vitale sulla coste orientale del Nord America».

Per una «sorpresa» e una «incognita», è una descrizione fin troppo precisa. E’ questa la minaccia «ibrida» e catastrofica, che non richiede «un avanzamento delle capacità militari del nemico», cui allude Freier?

E’ questo che induce la Pravda ad anticipare un mega-attentato nucleare sul suolo americano, naturalmente false flag, come pretesto per instaurare lo stato d’assedio?

Viene ricordato che nel 2003 il generale Thomas Franks, allora capo del CENTCOM (il comando centrale delle forze armate) ventilò l’idea che un altro evento con grandi perdite umane sarebbe stato capace di unire gli americani dietro una nuova forma di governo, adeguata ai tempi di estremo pericolo.

Il generale Franks è un ebreo d’origine russa, come del resto il colonnello Nathan Freier. Il 7 aprile 2008, il capo della Homeland Security, Michael Chertoff (israeliano con doppio passaporto) spiegò agli studenti di Yale che nulla poteva escludere un nuovo 11 settembre in USA, perchè le moderne tecnologie mettono in grado anche un piccolo gruppo di terroristi di massacrare «centinaia di migliaia di persone». E Dick Cheney, il 26 maggio, rincarò: «Nessuno può garantire che non saremo aggrediti di nuovo».

Si tratta qui di personalità che hanno tutto l’interesse a mantenere coperte le loro responsabilità negli eventi criminali dall’11 settembre in poi (due guerre giustificate da menzogne, torture, carcerazioni illegali a Guantanamo); ed hanno tutto da temere da una rivoluzione americana di tipo democratico, che potrebbe trascinarli sul patibolo; per loro, impedire una transizione normale è questione, letteralmente, di vita o di morte. E sono comprovatamente capaci di tutto.

In più, per questa gente (e i loro esecutori) la manipolazione della psicologia di massa americana è una scienza esatta. Essi sanno perfettamente come sfruttare gli incubi della società USA, e le sue fragilità inconfessate.

Fra queste, c’è l’angoscia onnipresente per la rottura del cosiddetto «ordine pubblico». Proteste e manifestazioni anche violente a cui noi europei siamo abituati (vediamo quel che succede in Grecia), in USA sono impensabili. La società vive nel mito della sua totale coesione civica, «che in realtà è un ordine mantenuto dal conformismo delle idee come dall’assenza di unità sociale capace di organizzare la contestazione e da una forte presenza della legge», scrive Dedefensa (5).

E’ vero: la società americana è fratturata in minoranze etniche e ceti fortemente ineguali, privi di contatto fra loro e men che meno di solidarietà sociale; questa «società» che è «dis-sociazione» (dove la gente si arma per paura dei «negri», dei musulmani, dei messicani...) richiede essa stessa dal governo un ordine pubblico rigido e punitivo, con polizia onnipresente e tolleranza-zero verso ogni minima deviazione che possa intaccare l’immagine del lindo ordine vigente.

Un Paese che «si sa fragile nella struttura e nella coesione» saluterebbe come soluzione un ordine militare che togliesse dalle piazze i disoccupati in protesta, dalle case abbandonate gli squatter, e che fucilasse sul posto i criminali drogati, e dei «ceti pericolosi», resi virulenti dalla crisi economica.




1) «USA needs nuclear explosion to turn the world into dictatorship», Pravda, 23 dicembre 2008. Fatto significativo, l’articolo non è firmato.
2) Nathan Freier, «Known Unkonwns: Unconventional Strategic Shocks in defense strategy development», SSI, novembre 2008. Il testo completo si può leggere al sito www.strategicstudiesinstitute.army.pdf
3) Paul Joseph Watson, «Celente predicts revolution, food riots, tax rebellion by 2012», PropagandaMatrix, 13 novembre 2008.
4) Mark Glenn, «Israel warns America yet again: there’s ‘Hell to pay’ for not attacking Iran», American Free Press, 23 dicembre 2008. Glenn ricorda anche la minaccia enunciata qualche anno fa d a Martin van Creveld, l’analista militare israeliano: ««We possess several hundred atomic warheads and rockets and can launch them at targets in all directions, perhaps even at Rome. Most European capitals are targets for our air force…. We have the capability to take the world down with us. And I can assure you that this will happen before Israel goes under».
5) «Dislocation Stratégique», Dedefensa, 24 dicembre 2008.


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