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Golpe in atto, ma senza benedizione
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Adesso è tutto più chiaro, anche il «mistero Boffo», che - trattadosi di cose di Chiesa - è quello che ci interessa di più. La manovra di accerchiamento a Silvio Berlusconi sta per completarsi. Se nel giro di qualche giorno il Lodo Alfano verrà cassato dalla Suprema Corte, il premier sarà nudo e allora potrebbe trovarsi nella necessità di dimettersi. Non lasciatevi ingannare dalle manifestazioni di solidarietà dei suoi o dalle parole di circostanza di Fini: se si troverà allo scoperto, saranno in pochi a offrire il petto per salvarlo.

Dove non c’era riuscito il gelido rigore di Francesco Saverio Borrelli, ce l’ha fatta Patrizia D’Addario. Guai a sottovalutare le donne, guai a pensare di poterle comperare davvero, anche se trattasi di escort, anzi chiamiamole col loro nome, prostitute. Una donna non si compra mai, una prostituta neppure, al più la si paga. Una prostituta si vende al migliore offerente e, ciò facendo, fa solo il suo mestiere.  E la D’Addario l’ha fatto. Se Berlusconi ha pensato di poterla avere per una sera o una notte e cavarsela con due barzellette, un ciondolino d’oro o con poche migliaia di euro, allora è ingenuo: a 42 anni e con quello sguardo, chissà quante volte le sarà capitato di veder sfilare fuori dalle lenzuola qualcuno che prima le aveva promesso il mondo e chissà quante volte le deve essere capitato di mangiare lacrime e rabbia per essersi data per due soldi, che alla fine le avranno fatto pure schifo. Chiaro che per una che è a fine carriera, l’ansia è quella di capitalizzare in fretta, finchè la «merce» è ancora vendibile. Diciamolo con onestà: Patrizia D’Addario ha fatto il suo mestiere, non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione del genere. E’ Berlusconi che stavolta non ha saputo fare il suo!

Pensava forse di fare come altre volte, di portarsi il «Bagaglino» a cena, di gustare bellezze e amenità e di chiudere la serata col botto? Pensava che al più sarebbe bastata la promessa di una qualche miraggio televisivo, per tenere buona una così? Possibile che nelle sue scorribande notturne non gli sia mai venuto il dubbio che mille occhi erano lì, pronti a spiare, registrare, filmare, fotografare? Possibile che nel delirio di onnipotenza, dopo quello che si era vociferato sulle ministre, ogni suo respiro (figuriamoci se ansimante!) sarebbe stato ascoltato? Possibile che la storia non gli abbia insegnato che gli  uomini politici hanno resistito sempre a bufere istituzionali e giudiziarie, ma mai al corpo delle donne? E che spesso il corpo delle donne è quello che accende non solo le loro passioni, ma anche la lunga miccia di scandali che rischiano di travolgere tutto e sommergerli?

Possibile che non abbia uno straccio di uomo fidato nei Servizi, in grado di avvisarlo per tempo cosa stanno «cucinando» per lui i suoi avversari? O forse in questo gioco al rialzo di Berlusconi c’è la patologia di una sfida che non intende conoscere limite?

Sia come sia, oramai il gioco è scoperto. La vendetta della moglie tradita, quel suo comunicato glaciale e la conseguente richiesta pubblica di divorzio ha scritto l’inizio del copione per la «morte dell’Imperatore»: poi sono venute fuori le veline, le escort, le «coltellate» di Fini, le domande di Repubblica, le cannonate della stampa estera, poi gli attacchi dei vescovi, poi il caso Boffo, poi l’Economist, poi Santoro, poi il Lodo Mondatori… poi magari sarà la volta del Lodo Alfano.

Oggi appare chiaro che l’obiettivo è quello di fare fuori il suo governo, l’asse privilegiato con Lega, la lotta serrata contro l’immigrazione clandestina, la sua politica economica fortemente critica, anzi beffarda, nei confronti dei poteri forti, il tentativo di mettere una qualche forma di controllo al potere apolide dei mercati finanziari, l’occidentalismo temperato, l’attenzione verso Mosca, l’ipotesi di sganciarsi dall’Afghanistan, l’interessata benevolenza verso Tripoli, la possibilità di portare in porto davvero qualche riforma strutturale: insomma uno scossone ulteriore ai tradizionali poteri forti che si riuniscono nei salotti buoni dell’Italia liberal, azionista, cattoprogressita, con l’aggiunta di nostalgie dorotee.

La sensazione è che il «golpe» contro Berlusconi sia stato progettato, su commissione internazionale, da un manipolo di irriducibili raggruppati intorno a Repubblica, con l’aiuto delle truppe cammellate di parte dei giornalisti RAI e il sostegno diretto di buone fette del potere bancario. A questo avrebbe fatto eco indirettamente la lobby che si aggrega intorno a via Solferino, col compito di amplificare le notizie, ma senza esporsi eccessivamente. All’estero il sostegno doveva essere garantito dai media anglofoni e anglofili, anche quelli con sede a Madrid, con l’obiettivo di trasformarlo in uno scandalo internazionale, attraverso un ping pong di voci, in grado di rilanciare gli eventuali «silenziamenti» interni. Poi è stata «attenzionata» la struttura clericale, dapprima attraverso la voce isolata di qualche vescovo, poi con un crescente clima di «disagio» dichiarato, culminato con gli editoriali di Avvenire. A quel punto è cresciuto perfino il tono di dell’UDC di Casini ed è comparso Fini. Poi è successo quello che sappiamo.

«Autonomamente» - si fa per dire - la Cavalleria di Feltri è passata al contrattacco e dalla Segreteria di Stato vaticana è venuto l’ordine perentorio di sganciarsi. Boffo è stato difeso quel poco che bastava per salvare la faccia ed è iniziato il redde rationem. Al di là di Boffo, la vera epurazione in realtà si dice abbia riguardato il cardinale Ruini.

Ruini interpreta al meglio, finanche nel fisico e nello sguardo, il ruolo di piccolo Richelieu italiano: ossessionato dalla politica, il suo obiettivo è quello di mantenere alla Chiesa italiana (italiana si badi bene!) il ruolo che essa ha avuto durante i 45 anni di governo democristiano. In poche parole questo significa detenere il controllo dei centri decisionali, quasi a prescindere da ciò che si decide.

A Reggio Emilia fino ai primi anni ‘80 Ruini era insegnante presso il seminario diocesano, presso un istituto interdiocesano di Modena-Reggio Emilia-Carpi-Guastalla e presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese ed era anche delegato vescovile per l’Azione Cattolica, ma tutti lo conoscevano come assistente diocesano dei Laureati Cattolici e come una sorta di assistente ecclesiastico degli «studenti democratici» (l’organizzazione studentesca organizzata tra via del Vescovado e via Ariosto, sede della DC locale). Per questo l’irresistibile ascesa di don Camillo apparve a molti un mistero e non proprio della Fede: certo l’uomo era abile, abituato a mediare tra una forte componente ecclesiale progressista ed una Curia più prudentemente modernizzatrice, ma la nomina a vescovo prima, a segretario della Conferenza Episcopale poi, a Pro-vicario e poi a Vicario generale per la Diocesi di Roma, quella a presidente della Conferenza Episcopale Italiana e poi la creazione a cardinale, ebbene nessuno in città se la sarebbe aspettata.

Le male lingue parlano di lui più che come presule come di un uomo di potere e non mancano di ricordare come sia amicissimo di un discusso ex-onorevole democristiano, Franco Bonferroni, forlaniano doc, sottosegretario all’Industria e Commercio estero nel VI e VII governo Andreotti, in odore di Massoneria, già coinvolto nella vicenda P2 e nell’indagine Why not, indagato, ma prosciolto, nel corso dell’indagine di Mani pulite, consigliere d’amministrazione di Finmeccanica e di recente gran manovratore a livello locale di una spericolata operazione politica, peraltro fallita miseramente, in cui l’ex sindaco diessino Antonella Spaggiari è stata di fatto utilizzata come cavallo di Troia delle Destre per sconfiggere il candidato del centrosinistra.

Questa frequentazione non sembra casuale, perché Ruini è un prelato ad alto tasso di elaborazione politica e, nonostante contrarie affermazioni, è in quell’ambito che egli è veramente se stesso. Certamente la valenza del Pontificato woityliano ha costituito l’humus ideale per la vocazione politica di don Camillo. In tempi recenti il suo «capolavoro» è stata la strategia adottata nel referendum sulla procreazione assistita: una vittoria eminentemente strategica, perché vittoria della minoranza, ma politicamente gestita e propagandata come vittoria di maggioranza. Ne deriva che la politica, fine a se stessa si limita ad essere uno strumento per governare la realtà, non il presupposto per cambiarla.

E’ con consumato stile curiale che Ruini ha governato la Conferenza Episcopale, attentissimo all’equilibrio interno, senza mai marcare un tono, sferrare un attacco, denunziare qualche carenza nell’organismo dei vescovi italiani. Toni sempre soffusi, misurati, istituzionali: in una parola inutili.

Mai inoltre vi è stata nella sua azione ecclesiale una autentica attenzione per una seria proposta culturale, al massimo per  la strategia, come dimostra l’elaborazione del Progetto culturale della Chiesa italiana, vuoto di contenuti e pieno di iniziative. Un po’ come Sat 2000 e la galassia dell’informazione cattolica targata CEI, ove un palinsesto anonimo consente al più talvolta di rivedere serie televisive o fiction già passate sulle reti principali.

Non mi pare un caso, allora, che siano il giornale ed il giornalista creati da lui, a sua immagine e somiglianza, a prestarsi ad un tratto ad un gioco politico dove qualcuno tra i vescovi italiani ha sperato evidentemente di lucrare qualche posizione di potere dai nuovi assetti politici che starebbero dietro al «golpe in atto».

E’ qui, nell’operazione contro Berlusconi, che rinasce l’idea del grande Centro moderato, qui che si intravede l’idea di una transitoria (ma non troppo) grande coalizione, a guida Fini, che sia in grado di traghettare il Paese verso una scomposizione/ricomposizione del centro-sinistra e del centro-destra, per riplasmarli simmetricamente in formato democristiano all’interno di un modello tedesco in salsa tricolore.

E’ a questo che vasti settori del mondo clericale targato CEI lavorano ed è qui che il giornale dei vescovi e il suo direttore hanno svelato il progetto doroteo, nascosto dietro le prese di posizione contro il governo: depurare il centro-destra da Berlusconi e dal berlusconismo, restituire il suo elettorato in parte all’UDC ed in parte a Fini, nuovo leader del PDL, alleato presentabile del nuovo Centro. Altro obiettivo poi è quello di allontanare i ceti produttivi dall’attrazione leghista, marginalizzandone il consenso verso forme protestatarie, ma sottraendole il radicamento sul territorio, che deriva proprio dalla gestione concreta del potere. Sul versante del centro-sinistra, svuotata la protesta dipietrista col venir meno dell’antagonista identitario, cioè Berlusconi, l’obiettivo appare quello, tramite la fuoriuscita del gruppo di Rutelli e di altri, di indebolire - ancora una volta a favore dell’UDC - il Partito Democratico, per inchiodarlo su posizione moderate, salvo venire risucchiato all’opposizione dall’abbraccio mortale con l’estrema sinistra.

L’idea è quella di un ritorno al modello democristiano, articolato questa volta in forma bipolare, in grado di far governare la Chiesa (pardon questa Chiesa) pur in assenza del partito dei cattolici: un progetto spregiudicato e rischiosissimo, anche culturalmente e soprattutto spiritualmente, nel quale i vescovi «progressisti e dorotei» volevano impegnare la Chiesa, anche contro il Papa. Un’idea tutta politica ed ideologica, che presupponeva una nuova «operazione di pulizia» dopo quella di Mani Pulite, in cui la Chiesa si ponesse come supporto spirituale alla rinnovata autorità morale delle istituzioni.

Un ritrovato ruolo politico dei vescovi «progressisti e dorotei» sarebbe dovuto servire anche come strumento per controbilanciare a livello ecclesiale la loro progressiva emarginazione. Questa operazione nasce all’interno di quel pasticciaccio brutto, costituito dal controverso rapporto tra Papato e conferenze episcopali, ennesimo frutto perverso degli equivoci conciliari. In questa sorta di pseudofederalismo ecclesiale - come ha notato giustamente Messori - qualcuno ha pensato di dettare la linea, anche senza il consenso del Papa.

Come andrà a finire la vicenda Berlusconi non ci è dato di sapere. Se il «golpe», che non è ancora stato sventato, riuscirà, almeno speriamo non abbia la benedizione dall’alto.
Devo dire che il gelido puritanesimo di certi esponenti politici, ecclesiali, finanziari, mi infastidisce e mi inquieta persino di più di pruriti del premier, giacchè nella sua sventatezza di lui sappiamo persino cosa fa nel «lettone»… Di costoro, al contrario, non sappiamo nulla. Di solito ci accorgiamo di ciò che hanno fatto quando sono già troppo lontani per poterli rincorrere. Fino ad allora ci siamo fatti ingannare dai loro bei modi, dal loro apparire, dalla loro presentabilità.

Forse la Chiesa, nell’impedire che i propri vescovi partecipassero direttamente al «golpe», si è rammentata di ciò che Gesù diceva ai farisei: «I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei Cieli». … Sai la beffa se, oltrechè nelle urne, persino lì «Papi» arrivasse prima di loro?

Domenico Savino



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