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Requiem per l’imperatore
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Chiaro adesso? Ai lettori che non hanno condiviso le mie prese di posizione su Fini e sul suo collateralismo coi così detti poteri forti, sul suo «Ur-fascismo» progressista, a coloro che si lasciano scandalizzare oltre il dovuto dall’«esuberanza sessuale assistita» del presidente del Consiglio ed a coloro che si sono sentiti disorientati dalla mia analisi sul «golpe istituzionale» portato avanti contro il Governo, spero adesso siano cadute le bende dagli occhi.

L’uno-due sferrato nel breve volgere di pochi giorni contro Silvio I Imperatore con il combinato disposto del Lodo Mondadori-Alfano, prefigura già lo scenario dei prossimi mesi. In sintesi potremmo chiamarlo Golpe.exe, programma in esecuzione. Berlusconi può mostrare i muscoli fin che vuole e Bossi evocare la guerra (bum!), ma chi deve decidere ha deciso: requiem per l’Imperatore.

Parlavo nel mio precedente intervento dei poteri anglofobi e anglofili come registi dell’operazione, di qua, ma ora anche di là dell’oceano. E infatti di qua, ma anche di là dell’oceano si evoca l’autogolpe del centrodestra.

Di qua dell’oceano, ma di là della Manica, l’Economist si era già espresso nei giorni scorsi, il Times di Londra gli ha fatto eco, definendo la decisione della Corte Costituzionale «un colpo mortale» e dichiarando senza mezzi termini che il primo ministro italiano «deve dimettersi», mentre il Financial Times già disegnava gli scenari futuri: «Non siamo ancora al fuggi fuggi, ma importanti alleati di Silvio Berlusconi nella coalizione di governo stanno già contemplando un futuro senza di lui» (1). Non trattandosi di Bossi e non potendosi considerare Gianfranco Rotondi un alleato importante, a chi era secondo voi rivolta l’esortazione? Fate voi.

Simmetricamente di là dell’Atlantico il New York Times scrive a chiare lettere: «Non è una situazione accetabile per l’Italia e per l’Europa. L’era Berlusconi è durata troppo a lungo, con troppi pochi risultati positivi. E’ tempo per entrambe le coalizioni di sviluppare una nuova generazione di leader più costruttivi e competenti da presentare agli elettori». L’agenzia di stampa Reuters, poi, indica con chiarezza ai suoi alleati cosa devono fare, dedicando un editoriale alla vicenda, a firma del columnist europeo Paul Taylor e sotto il titolo: «Berlusconi non deve trascinare l’Italia giù con lui». Ecco il messaggio chiave rivolto ai congiurati: «Silvio Berlusconi sembra determinato a trascinare le istituzioni giù con lui ora che lentamente affonda in una palude di processi e di scandali. Ma i suoi alleati politici non dovrebbero legare il proprio destino irrevocabilmente al suo» (2).

Faccio notare per inciso che il New York Times è di proprietà di Arthur Sulzberger Jr, cognome sulla cui appartenenza etnico-religiosa, identica a quella dell’ingegner Carlo De Benedetti, lascio a voi ogni deduzione, mentre la seconda è l’agenzia saldamente in mano agli epigoni di Paul Julius Reuter, nato come Israele Beer Josaphat e figlio di un rabbino di Kassel.

Da Londra a New York, dunque, l’invincibile armata dei Britsh-Israel sembra proprio essere scesa in campo.

In mio precedente articolo parlavo anche dell’influenza che la cultura politica sviluppatasi intorno al Partito d’Azione, fondato da Giuseppe Mazzini,  continua ad avere all’interno della politica nostrana e come in filigrana sia questa la matrice del nuovo attacco all’esecutivo. Ne riceviamo conferma dalle parole del ministro Sacconi, secondo cui l’anomalia italiana non è Berlusconi, ma la ricorrente aggressione sostenuta da ciò che resta di quel radicalismo ideologico portato naturalmente a imporre la propria egemonia, attraverso la criminalizzazione dell’avversario che diventa un nemico, ma «più ancora da un azionismo senza neppure il merito di aver fatto la resistenza, diventato ora puro e semplice radicalismo di piccola enclave di una certa borghesia - terziaria non certo industriale - ambiziosa e arrogante» (3).

Concorda con lui Roberto Chiarini, secondo cui «Il comportamento del Cavaliere prefigura un passaggio di regime in senso presidenziale... Non c’è da stupirsi che contro di lui si siano coalizzate forze di ogni genere: parte della magistratura, alcuni gruppi economici, il gruppo editoriale di Carlo de Benedetti, ormai assurto a soggetto politico… Forse nell’offensiva contro Berlusconi … c’è anche una componente internazionale, perché il suo attivismo verso Oriente può suscitare fastidi all’estero» (4).

Sempre nei miei precedenti articoli mi domandavo anche se fosse possibile che Berlusconi non avesse uno straccio di uomo fidato nei Servizi, in grado di avvisarlo per tempo cosa stanno «cucinando» per lui i suoi avversari? Non era una domanda oziosa: le voci girano e se sono giunte fino a me… Esattamente lo stesso giorno in cui il mio modesto contributo è apparso sul nostro sito, Francesco Verderami sul Corriere della Sera scriveva: «Di una cosa il Cavaliere è certo: si tratta di un’operazione ‘anti-nazionale’. Dietro questo concetto si cela sempre più il sospetto che la manovra abbia addentellati oltre confine. E non è un timore recente, se - per capire cosa stava succedendogli - avrebbe chiesto aiuto ai servizi di una potenza amica, ma non alleata» (5).

Commentando la notizia Paolo Guzzanti, il senatore Pdl, passato al Gruppo misto, nel suo blog si rammarica: «E’ possibile che Berlusconi sentendosi tradito da Letta e dunque diffidando dei suoi servizi, abbia fatto ricorso ai servizi del nostro grande amico Vladimir? Sembra un romanzo di fantasia, ma non lo è, purtroppo per noi» (6).

Forse Guzzanti avrebbe preferito che Berlusconi l’aiuto lo avesse chiesto al Mossad…

Fatto sta che il giorno prima Calderoli parlava di un Gran Vizir traditore, uno che dall’interno del governo lavorerebbe per abbattere Berlusconi. Calderoli il nome non lo fa, ma è sempre Paolo Guzzanti ad alludere subdolamente a Gianni Letta, il sottosegretario con delega ai servizi segreti, eminenza grigia del Governo (7). E’ un’illazione che non mi convince, anche se è molto probabile che a lui i congiurati comunque in qualche modo guardino e intendano rivolgersi.

Secondo il piano del «golpe istituzionale», l’implosione dovrà avvenire per una sincope all’interno della maggioranza e i numeri saranno contro Berlusconi. Dopo che qualche pentito di mafia avrà ritrovato la memoria per incolpare dell’omicidio del «camerata» Borsellino a sedici anni di distanza un Berlusconi a quel tempo ancora fuori dalla politica, sarà più facile mobilitare contro il premier i 60 parlamentari peones, esibiti da Fini nelle settimane scorse per chiedere più collegialità nel Pdl, nell’«ammuina»  che preludeva all’oggi. Basterà la promessa di qualche posto nell’esecutivo per non far desistere i più dal loro proposito.

Un manipolo di «anisti» pronti a seguire quello che fu appunto il capo di AN nel nuovo spregiudicato percorso di guerriglia interna: dove nel 1996 fallì Meccanico per colpa di Fini, potrebbe essere proprio oggi Fini a trionfare.

E ciò che è successo subito dopo la pronuncia della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano è stato significativo: mentre Berlusconi si contorceva con i suoi a palazzo Grazioli, Fini era ospite di Luca Cordero di Montezemolo nel laboratorio politico di «Italia Futura», il suo personale think-thank, riunito sotto forma di associazione.

Come è facile intravvedere l’inizio del percorso politico per riconsegnare l’Italia ai poteri forti che l’hanno sempre governata, tranne nella parentesi del «populismo alla puttanesca» di Silvio Berlusconi, è già stato tracciato: governo istituzionale o del presidente, insediato dal comunista-liberale Napoletano, guidato da Gianfranco Fini e sostenuto dall’esterno, dall’interno, da sopra, da sotto, comunque e «come che sia» da PD, Italia dei valori, UDC, gruppi misti, senatori a vita, Rite Levi Montalcini varie e qualche illuminato tecnico, professore, economista o costituzionalista, pronto a spacciare dogmi e cateteri tra Montecitorio e Palazzo Madama. Bello spettacolo!

I soliti noti alla guida delle corazzate giornalistiche ci ammoniranno sul ritorno alla normalità, alla moralità, alla sobrietà, alla solidarietà, all’unità, alla Costituzione, alla democrazia. Per Berlusconi si prepara un lento inarrestabile oblio: se il governo Dini fu la sua isola d’Elba, questa volta sarà Sant’Elena. La fine dell’Imperatore è segnata. Ma non subito.

Passerà qualche mese per convincere uno ad uno i transfughi, per preparare il clima, persuadere i renitenti, rassicurare i pusillanimi, promettere agli ambiziosi, ammonire i resistenti. Passerà qualche mese, durante il quale far scattare nuove trappole, rinsaldare le alleanze, tessere nuove strategie, cercare complicità, sollecitare solidarietà interne e internazionali. Passerà qualche mese dove forse il mandante delle stragi di mafia diventerà il duo Dell’Utri-Berlusconi: allora il manipolo «anista»  si ricorderà di essere stato per qualche anno un partito giustizialista, tutto legge e ordine…

Non si tratta di fare un governo purchè sia: si tratta di durare almeno due anni. Si tratta soprattutto di riallinearsi in politica estera, ora che l’Agnello è stato additato al mondo, ora cioè che il Nobel per la pace Obama, il Profeta del mondo a venire, farà sul serio, ora che è stato dato il via libera alla costruzione della superbomba, che sostituirà la Moab e supererà le bombe termobariche russe, in grado di sfondare i bunker di Teheran (8).

Occorrerà che siano maturi i tempi, affinché il nuovo oltranzismo soft-atlantico del presidente americano, appaia a tutti come la lotta necessaria per la libertà, la democrazia, la liberazione delle donne, la libertà degli studenti, la pace in Medioriente e in Centrasia, il diritto all’esistenza di Israele. Occorrerà trovare per allora un governo recettivo ai temi della pace universale: altro che i dietro-front di Bossi e gli opportunismi di Berlusconi! I tempi dei profeti - si sa - sono tempi lunghi.

Si tratta di creare le condizioni perché, se il dollaro dovesse ulteriormente vacillare, non crollino con lui le lobby anglofone e anglofile che da sempre reggono questo Paese e l’Italia non si smarchi - lei,  Paese mediterraneo per eccellenza - dalla sua «vocazione-attrazione» atlantica. Per le lobby di sempre potrebbe essere un colpo mortale.

Il ministro Sacconi, parlando dei retroscena degli attacchi a Berlusconi, non a caso ha spiegato come «la prevalenza dell’asse transpacifico sull’asse transatlantico espone la vecchia Europa al rattrappimento baltico della sua capacità di crescita: quel poco di crescita è legato alla portualità del Baltico, e taglia fuori l’Europa mediterranea. L’unica via di uscita è rilanciare l’Europa intesa nella sua integralità geopolitica - Russia inclusa - a forte dimensione mediterranea, che alimenta e partecipa di quella che potrebbe essere, dopo Cina, India e Brasile, la quarta economia emergente, dal Nord-Africa al Golfo, al Medioriente. Le intuizioni di Berlusconi sono state tutte in questa direzione: Putin, Erdogan, Gheddafi, e non solo. In questa visione l’Italia diventa baricentrica e può cogliere grandi opportunità, dalla portualità dell’Alto Adriatico all’intero Mezzogiorno» (9).

Quando Berlusconi si è dichiarato il più grande uomo politico degli ultimi 150 anni, implicitamente ha criticato lo stesso processo fondativo della nazione, reso possibile tra l’altro, specie nella conquista del Sud, dall’appoggio diplomatico decisivo assicuratogli dalla Gran Bretagna: mettere in discussione il dogma originario dell’unità d’Italia ha reso chiaro che il «populismo alla puttanesca» dell’uomo di Arcore sposa in parte l’idea leghista di un’Italia da rifare e da riposizionare.

L’asse Berlusconi-Bossi mette in crisi l’idea stessa di nazione-Italia, come è uscita dal Risorgimento ed è giunta alla resistenza: l’idea giacobina, cioè, di un’Italia imposta agli italiani, un’idea sulla quale - si badi - il Fascismo si dichiarò anch’esso parte. Esattamente come la resistenza nel dopoguerra, per primo il Fascismo specie nel filone gentiliano intendeva la propria rivoluzione come compimento del Risorgimento, continuazione di Mazzini e Gioberti, ma anche dell’opera di Garibaldi e di Crispi.

Per tornare all’oggi, contro il processo di ristrutturazione del Paese portato avanti da questo governo, poteri forti e strutture sociali stataliste di vario tipo sono da sempre alleate, Confindustria, banche e sindacati si danno la mano, Sinistra e Destra convergono: il giornale del fascista-antifascista Scalfari ha iniziato il «duello finale», chiamando a ben vedere a raccolta tutti gli eredi della tradizione risorgimentale e resistenziale, fascisti e antifascisti che siano.

Senza saperlo c’è «nella pancia» del modello berlusconiano e leghista l’eredità di un progetto italiano già sconfitto una volta durante il processo di unificazione: un Italia fatta di gente reale e pezzi di terra, di contadini e imprenditori, di lavoro e di merci, di artigiani e di piccoli imprenditori, di lazzari, Masanielli, sanfedisti, insorgenti, peccatori, santi e baroni, tutti a vario titolo insofferenti verso la compressione delle loro diverse identità e libertà.

Proprio l’idea stessa «delle libertà» (in minuscolo!), cui si ispira persino nel nome il partito di Berlusconi, confligge apertamente con l’idea giacobina di Libertà (in maiuscolo!), quale feticcio partorito dall’idea radical giacobina ed incarnatasi tanto a Sinistra nel mito liberal-democratico della Libertà astratta dell’individuo, che a Destra nella Libertà come sintesi compiuta nello Stato.

Questa spaccatura attraversa l’Italia da Nord a Sud e fa sì che i ceti produttivi e l’autonomismo del Nord si sposino paradossalmente con l’«anomia» anche criminale del Mezzogiorno e ricerchino in un modello «aperto» come quello di questo sgangherato Centrodestra una nuova composizione delle rispettive contraddizione, ansie, identità ed interessi.

Non è un caso che siano invece i ceti dipendenti statalisti ed assistenzialisti quelli più vicini alle istanze del Centrosinistra! Non è un caso, cioè, che siano loro le prefiche dell’intangibilità della carta costituzionale, quelli più vogliosi di uno Stato immobile, garante di regole ed equilibri consolidati. E non è un caso che i ceti produttivi assistiti e parassitari, quelli che dai tempi della Sinistra storica hanno socializzato le perdite e privatizzato i profitti, i ceti burocratici e quelli finanziario-speculativi, i gestori delle rendite e delle public utilities, condividano all’interno di questa idea di Stato anche quella della rappresentanza «indiretta».

Qui si gioca la partita e su questa linea di frattura si è spaccata anche la Chiesa: vi è una corrente «doroteo-progressista», che va da Ruini a Tettamanzi, ormai chiaramente omologata alle ideologie della modernità ed abituata ad una parassitaria coesistenza con lo Stato, grazie a quarant’anni di coabitazione democristiana, che rimpiange quella «libertas», garantita sotto ed entro l’egida dello Stato. Quest’idea di Chiesa, chiamata a rivestire unicamente un ruolo residuale e testimoniale nella politica e nella società, è compatibile evidentemente con l’ipotesi sostenuta dai cattolici democratici ed espressa dal progetto politico incarnato da Romano Prodi. Ma essa si attaglia assai bene anche con la linea clerico-moderata del partito di Centro e con il criptopensiero del cardinale Ruini, in cui la Chiesa contribuisce tramite una sorta di consultazione permanente alla «riduzione del danno» e svolgerebbe, al di là degli enunciati di sua eminenza, un ruolo di razionalizzazione moderatrice dei processi di modernizzazione e secolarizzazione sempre più accelerati.

Espressa dall’Osservatore Romano del 9 ottobre (non a caso sottilmente critico verso la bocciatura del Lodo Alfano), è invece implicitamente la posizione del nuovo corso di Oltretevere, che non intende relegare la Chiesa a ruolo di «cappellaneria» della repubblica, buona per qualche benedizione e monizione, ma che rivendica invece il diritto di indicare la Verità e di valutare in politica non tanto la virtù delle persone, quanto la bontà delle politiche e delle decisioni. In sostanza, come evidenziato anche dalle riserve manifestate sull’attribuzione ad Obama del Nobel per la pace, la Chiesa non intende lasciarsi sedurre in politica dalla tentazione della «questione morale», ben sapendo che il «virtuoso» Robespierre non è meno distante da Cristo del «depravato» Nerone. Ed anzi talvolta di più.

Questo è lo scenario complessivo cui - per finire - gli elettori e i lettori storici specie della Destra devono con disincanto guardare, se vogliono capire come è possibile trovare Gianfranco Fini a fianco di Eugenio Scalfari. Solo così è possibile comprendere il percorso parallelo dei due, quello di due ex-fascisti divenuti a 50 anni di distanza antifascisti. E qui occorre precisare che oggi, se si vuole ancora essere di Destra nel modo in cui tradizionalmente lo si è stato negli ultimi decenni, non si può e non si deve più stare con Fini.

Come già ho avuto modo di illustrare, suscitando le vibrate reazioni di qualche «nostalgico» (categoria peraltro estranea al Fascismo vero!), il Fascismo in fondo si distingue dal Progressismo anche perché quest’ultimo è un «futurismo» meccanico, deterministico e unidirezionale, mentre il Fascismo è un esito assai più plastico, realista e sintetico, rispetto ai prototipi liberali e socialisti, avendo portato a sintesi al suo interno istanze contraddittorie come il sindacalismo rivoluzionario di Sorel, tendenze liberalnazionali, monarchiche, socialiste, repubblicane, anticattoliche, tradizionaliste e futuriste.

E Futuro sarà proprio la nuova parola d’ordine, sia esso quello della Fondazione «Fare Futuro» di Fini, sia quello di «Italia futura» di Luca Cordero di Montezemolo. Guardare al Futuro sarà il motto che ritornerà. Chi meglio di Fini che «ha lasciato la casa del padre» è più affidabile per un progetto che guarda avanti, chiamato a realizzare lo Spirito della storia? Peraltro è o non è stato proprio Gianfranco Fini ad aver ricevuto il 15 settembre scorso la Menorah d’oro, il prestigioso riconoscimento del Benè Berith, più noto come «B’nai B’rith», la Lega dei Fratelli, che secondo l’«Encyclopedia Judaica» (1970) costituisce «la più antica e la più numerosa organizzazione giudaica di mutuo soccorso, organizzata in logge e in capitoli in 45 nazioni»? (10)

E non lo ha forse ricevuto perchè « si è distinto per la difesa dei valori civili e per la lotta all’antisemitismo e per la ferma e coerente tutela dei valori della Costituzione e, in particolare delle minoranze, della libertà religiosa e della laicità dello Stato, segni che danno la misura della democrazia»?

E non è forse stato premiato perchè - come ha dichiarato Sandro Di Castro, presidente del Benè Berith di Roma - «nel lungo e non sempre facile percorso di costruzione di una destra italiana e moderna, liberale e fedele ai valori costituzionali e antifascisti, il presidente Fini ha svolto un ruolo straordinario di impulso e di guida. In questo ruolo non ha mai fatto mancare la difesa dei principi di laicità dello Stato che - soprattutto ai nostri occhi di minoranza - sono i soli in grado di garantire la parità di trattamento nel rapporto tra fedi e organizzazioni statuali»? Vedete che non sono visionario? Chi meglio di lui potrà portare la Destra verso il proprio Futuro, a realizzare quell’Italia che il Fascismo ad un certo punto ha mancato, avendo intercettato sul suo percorso ed essendosi fatto condizionare da un popolo plasmato dalla miseria, dalla Fede e dalla Chiesa?

Futuro - dicevamo - sarà la nuova parola d’ordine per sradicare questa Italia, (popolana ed arcaica, tenacemente attaccata senza neppure più esserne neppure conscia, ad una identità in via di definitiva dissoluzione) dai propri residui caratteri identitari. Futuro: questa sarà la parola magica per portare a «sinistra» anche la «Destra», per fare aderire a quel vecchio progetto rivoluzionario, senza che se ne accorgano, perfino i «reazionari»...

E sia chiaro che non stiamo difendendo Berlusconi, stiamo solo difendendo noi stessi.

Domenico Savino




1) http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/politica/giustizia-12/stampa-straniera/stampa-straniera.html
2) http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/politica/giustizia-13/giustizia-13/giustizia-13.html
3) http://archiviostorico.corriere.it/2009/ottobre/10/Sacconi_eterna_anomalia_italiana_vocazione
4) Il Corriere della Sera, 11 ottobre 2009, «Elite ostili al Governo, Gli Storici si dividono», pagina 13.
5) http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_06/cavaliere-sospetti-manovre-estero-verderami
6) http://www.paologuzzanti.it/?p=1150
7) http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_05/calderoli_voto_paola_di_caro

8) http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/esteri/iraq-130/iran-pianoisraele/iran-pianoisraele.html - http://www.dirittiglobali.it/articolo.php?id_news=15286

9) http://archiviostorico.corriere.it/2009/ottobre/10/Sacconi_eterna_anomalia_italiana_vocazione

10) http://moked.it/blog/a-gianfranco-fini-la-menorah-doro-del-bene-berith-simbolo-dei-valori-civili-e-della-lotta-allantisemitismo/




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