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Economia demenziale
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L’euro sopravvalutato del 30%. L’Europa commette lo stesso errore degli anni ‘30? Se lo domanda il Financial Times. Negli anni ‘30 parecchi Stati europei (Italia, Francia, Belgio, Olanda e Svizzera) tennero la loro valuta agganciata al valore dell’oro. Quando, all’inizio della grande depressione, USA e Gran Bretagna si sganciarono dall’oro lasciando svalutare le loro monete, i Paesi del «blocco aureo» si trovarono con le valute enormemente sopravvalutate: questo stroncò le loro esportazioni e prolungò in quei Paesi la depressione.

Oggi lo stesso sta facendo la Banca Centrale Europea, per volontà della Germania. Le nazioni della zona euro si sono legate insieme con una moneta che è atrocemente sopravvalutata. Gli stessi due Paesi che negli anni ‘30 lasciarono cadere le loro monete lo hanno ripetuto oggi: dall’inizio della crisi la sterlina s’è svalutata sull’euro del 30%, e il dollaro USA del 20%. L’effetto è uguale: strangolamento delle esportazioni nella zona euro, rallentamento della possibile ripresa. L’euro forte, inoltre, rende più difficile trattare gli squilibri interni all’eurozona tra i Paesi in attivo commercaile e quelli in passivo. (Ominous lessons of the 1930s for Europe)

Effetto domino? Il 30% del debito di Stato della Grecia è detenuto da banche estere. Gli stranieri hanno in pancia 216 miliardi di euro dei titoli di debito greco (pari al 90% del PIL ellenico), e negli ultimi mesi si sono persino precipitati ad accumularli a scopo speculativo, contando che la Grecia sarebbe stata «salvata» dalla BCE (ossia dalla Germania). Ma la BCE ha assunto la linea dura: nessun aiuto alle cicale di Atene. Anche se il debito sovrano greco è esso stesso un effetto collaterale dell’esperimento-euro, che ha reso possibile l’accumulo di tali debiti a tassi d’interessi (apparentemente) bassi (1).

La Grecia è in bilico: e la sua situazione  espone a due risultati, entrambi infausti: l’economia greca può subire un fulmineo ritiro di liquidità da un momento all’altro, sia che gli stranieri perdano (quel poco di) fiducia nella capacità greca di pagare il debito, sia che loro stessi affrontino un bisogno di liquidità che renda loro impossibile mantenere l’esposizione nel debito greco. Strangolata dall’euro, la Grecia non può svalutare per rendere più competitiva la propria economia; le banche estere rischiano di bruciarsi le dita i caso d’insolvenza greca. Con un effetto-domino sulle banche europee, e su quei Paesi europei più fragili, con i più grossi debiti pubblici, e più esposti con gli stranieri. (Grεεk dεbt disastεr)

Quali sono? Ve lo dice questa tabella. Notate la posizione dell’Italia.



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E le banche europee, come stanno? Dovranno rifinanziare 2 mila miliardi (due trilioni) di dollari dei loro debiti entro il 2010. Dunque metteranno in vendita valanghe di obbligazioni tutte insieme: le più grosse e le prime emettitrici saranno Barclays, Lloyds Banking Group, la Fortis Bank controllata dal governo olandese, il Credit Suisse di Zurigo.

Il costo del prendere a prestito sul mercato delle obbligazioni private sta già salendo. Per comprare i debiti delle grandi banche e imprese invece dei titoli di Stato, gli investitori già chiedevano a novembre 1,91% di interessi in più, e il 15 gennaio hanno chiesto 1,61%, quando le banche hanno cominciato a vendere 100 miliardi di dollari di titoli. Il fatto che la forbice tra titoli di Stato e titoli privati si divarichi, indica un’accentuata competizione fra aziende industriali, banche e Stati per accaparrarsi i (pochi) soldi disponibili sui mercati, e dunque prelude ad un aumento degli interessi; il che significa anche che l’offerta di debiti è tale, da espellere i debitori meno stimati (come la Grecia).

E le banche USA? Sono in piena bolla, esattamente come prima della crisi. Vivono in un mondo di fantasia che non esiste più. Hanno deprezzato i loro portafogli di prestiti immobiliari (2 mila miliardi di dollari) soltanto dello... 1,6%. Il che significa che hanno in bilancio «valori» che valgono centinaia di miliardi di dollari meno di quel che le banche – e i loro bilanci – dicono.

Presto o tardi, forse molto presto, dovranno guardare in faccia la realtà, e riconoscere il valore reale di quegli «attivi» in massima parte inesigibili, deprezzandoli del 30%, o 50%. I loro bilanci si restringeranno come straccetti lavati, e quindi si restringerà ancora il credito in USA e nel mondo proprio mentre Stati, banche e imprese chiedono disperatamente più credito. Nel 2009 ne sono fallite in USA 171; ci si aspetta che altre 200 falliscano quest’anno.



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Ma che cosa importa ai banchieri? Le 38 più grandi banche e agenzie di trading USA, insomma Wall Street, si auto-distribuiscono quest’anno 145 miliardi di dollari in bonus e gratifiche, con un aumento del 18% rispetto ai bonus già favolosi del 2008. Si premiano perchè giudicano di aver fatto bene.

Ed è improbabile – a dir poco – che questi personaggi vengano disciplinati dal potere politico. S’è scoperto che nelle due camere degli Stati Uniti siedono 237 milionari in dollari, ciascuno con circa 2 milioni di dollari di ricchezza: il 44% del Congresso è fatto da ricconi, che hanno interessi diretti in Wall Street, in quanto i loro profitti derivano da quelle stesse compagnie che hanno goduto – grazie ai voti dei senatori – delle colossali cifre dei salvataggi accollati ai contribuenti. (Net Worth, 2008)

Bisogna chiedersi per quale motivo gli «investitori» (speculatori, risparmiatori) preferiscano i Buoni del Tesoro di Stato alle obbligazioni private. Perchè sanno, o credono di sapere, che gli Stati possono estrarre dal loro popolo con le imposte qualunque cifra, onde pagare o servire il debito pubblico (almeno, pagare gli interessi).

Ma è una certezza che l’Islanda ha cominciato a scuotere. Persino Martin Wolf, il gran sacerdote dell’ultraliberismo che pontifica dal Financial Times, ammette: «La questione finale, in fondo, è se le richieste dei creditori sono ragionevoli. Dopotutto, in ogni Paese civile si è ammesso da gran tempo che c’è un limite a quel che i creditori possono succhiare dai debitori. Dopotutto, è per questo che abbiamo abolito la prigione per debiti, ed abbiamo introdotto la responsabilità limitata. Chiedere a un popolo (come l’islandese) di trasferire ai creditori il 50% del suo prodotto lordo, più gli interessi, attraverso un sostenuto attivo dei conti correnti, è eccessivamente oneroso».

Roubini tuttavia scrive: «Regno Unito, Spagna, Grecia e Irlanda sono a rischio sovrano, specie se i loro sbilanci non sono affrontati immediatamente. Certi Paesi della zona euro stanno raggiungendo i limiti di sostenibilità del debito e non possono alleviarlo tramite svalutazione. Le economie sviluppate devono cominciare dunque il consolidamento fiscale dal 2011-2012 generando un attivo primario, che può esser dato con una combinazione di aggravi fiscali e tagli alle spese. Per ridiventare credibili, questi governi devono varare una legislazione coattiva che imponga la stretta di cinghia fiscale». Questo si aspettano gli investitori da noi, per comprare i nostri BOT.

Il seminfermo mentale. E che cosa fa Berlusconi in questo frangente internazionale in bilico sull’abisso? Tornato fresco e plastificato dalle cliniche di bellezza, propone la riforma fiscale con l’aliquota massima al 33%.  Poi se la rimangia, perchè è fatto così: avventato e grandioso, generoso, espansivo, ottimista e impulsivo.

Già. Uno dei motivi per cui gli italiani hanno votato Berlusconi stava nel seguente ragionamento: «E’ ricco di suo, non ruberà denaro pubblico». Infatti Berlusconi non ruba il denaro pubblico: lo spende giovialmente, impulsivamente, grandiosamente. Apprendiamo da L’Espresso che il bilancio della presidenza del Consiglio (che è totalmente autonomo) è aumentato sotto il grandioso da 3,6 miliardi di euro nel 2006 a 4 miliardi e trecento milioni nel 2008. Ormai, il funzionamento di Palazzo Chigi ci costa ogni anno un quarto di una finanziaria. Vero è che metà della spesa è dovuta alla Protezione Civile, che dipende direttamente dall’attivismo del Salame: 2.300 miliardi.

Non che Berlusconi rubi: è che ha assunto 1.000 persone più dell’organico, salito oggi a 4.500, diconsi quattromila cinquecento. Come si fa a negare un posto dirigenziale (184 mila euro annui) alla segretaria di sempre, agli amici del cuore? Berlusconi è generoso.

Per la consegna degli appartamenti all’Aquila ha speso 300 mila euro per trasformare la cerimonia in spettacolo TV noleggiando telecamere (ma non ha le sue?), amplificatori, maxischermi – come a una festa rave – e persino computer a 500 euro l’uno per noleggio di un giorno. Ha dato una cena in onore di Keren Hayesold United Israele (un’agenzia internazionale che raccoglie fondi per Israele) ed ha speso 110 mila euro solo per telecamere e troupes «per seguire il presidente durante l’evento»: non si osa pensare a cosa ha dato agli israeliani, che è un segreto.

Berlusconi non bada a spese: prende un elicottero della Protezione Civile per andare a curarsi in una clinica di Messegué. Imbuca a Palazzo Chigi poliziotti e carabinieri che gli sono stati simpatici (370 di numero, percettori di una ricca indennità per il servizio a palazzo Chigi), sparge consulenze e posti fra giornalisti, leghisti, chitarristi, veline ed  autisti. (Silvio, quanto ci costi)

Insomma, è diventato uno della Casta, anzi il capo stesso della Casta inadempiente. Non lo fa per rubare. E’ la sua malattia.

Stupisce che i suoi avvocati non gettino sul tavolo dei tanti processi la carta decisiva: la seminfermità mentale. La sua si chiama «ipomania», e Berlusconi ne esibisce tutti i sintomi: eccessiva autostima e grandiosità, ridotto bisogno di dormire, iperattività sessuale, ottimismo contagioso, grossolanità e superficialità ridanciana. L’ipomaniaco, insegnano i testi di psichiatria, ha «grande fiducia in sè, una impulsività solo parzialmente controllabile, è espansivo, instancabile, caloroso; corre rischi eccessivi; non brilla tra le sue qualità il giudizio ponderato e realistico. Incalzato dai suoi stessi progetti, soffre di deficit d’attenzione, e li lascia spesso a metà perchè attratto da un progetto nuovo. Può coinvolgersi in attività di piacere che gli possono procurare effetti gravemente negativi sul piano sociale: indiscrezioni sessuali, affari avventati, prodigalità eccessive.

E’ lui. Per uno così, a Palazzo Chigi, con un bilancio autonomo da cui può attingere senza render conto a nessuno, è un incitamento alle grandiosità e alle più allegre spese pazze. Quattro miliardi e passa di euro ogni anno.

Subito, gli avvocati invochino la seminfermità mentale, l’incapacità di intendere e di volere. Lo facciano sottoporre a perizia psichiatrica: lo salvino, e salvino noi.

Ma quale salvezza, però. La ridicola tragedia italiana è che, tramontato il matto prodigale coi soldi nostri, ci troviamo sul gobbo di nuovo quegli altri, i Prodi, le Bindi, i Visco, che non hanno nemmeno la scusa della seminfermità.




1) Vale la pena di riportare la valutazione dell’Executive Intelligence Review: «Il modo in cui l’Unione Europea sta gestendo la crisi finanziaria greca ricorda la dinamica di un’automobile che finisce sul ghiaccio. Una volta iniziato a slittare, qualsiasi cosa faccia il guidatore, col volante, l’acceleratore o il freno, accelererà o aggraverà l’unico esito possibile del testacoda: uno schianto. E così l’UE, minacciando la Grecia di multe, negando gli aiuti finanziari ed esigendo un’austerità feroce, peggiora la crisi e incoraggia l’esito che teme maggiormente: un’insolvenza sovrana che porterà allo sfascio del sistema dell’Euro. Quando Fitch ha declassato il debito greco a BBB+, segnalando la possibilità di un’insolvenza sovrana, gli investitori internazionali hanno iniziato a vendere titoli greci, scatenando le scommesse al ribasso degli hedge funds. Poi, il presidente della BCE Jean-Claude Trichet ha fatto la voce grossa, dichiarando che la Grecia non deve attendersi alcun trattamento speciale, così provocando un’altra caduta dei titoli greci. Il tutto si risolve in un aumento dei costi di rifinanziamento, aumentando la difficoltà di ridurre il deficit. Mentre Trichet chiede tagli brutali della spesa sociale e la Commissione UE accusa il governo greco di ostacolare una verifica dei conti pubblici, un team del governo tedesco è alacremente alla ricerca di una scappatoia giuridica che permetta un salvataggio della Grecia.  Come ha dichiarato Marco Annunziata di Unicredit, l’UE sta giocando al rialzo, esercitando enormi pressioni sulla Grecia per operare i tagli al bilancio, mentre allo stesso tempo sta preparando un salvataggio in caso di emergenza (...). Il pericolo di uno sgretolamento dell’euro ha spinto la Banca Centrale Europea a commissionare uno studio sulle conseguenze legali della decisione di un membro singolo dellUE di uscire dall’euro. Questo studio, visionato dal Telegraph, è un esempio magistrale di come funzioni il sistema giuridico neofeudale dell’UE. Esso sostiene che se uno Stato abbandona l’euro sarà automaticamente espulso dall’UE. ‘L’autore’, scrive il Telegraph del 18 gennaio, ‘fa una serie di affermazioni contorte, gesuitiche e maligne, come fanno spesso i legali dell’UE’. Mezzo secolo di unione sempre più stretta avrebbe creato un ‘nuovo ordine giuridico’ che trascende un ‘concetto di sovranità largamente obsoleto’ e impone una ‘limitazione permanente’ sui diritti degli Stati. L’autore sostiene che l’uscita dall’eurozona comporta l’espulsione dall’Unione Europea. Tutti i membri dell’UE devono far parte dell’Unione Monetaria, tranne la Gran Bretagna e la Danimarca che hanno ottenuto i cosiddetti ‘opt-out’.  Sono argomenti ovviamente mirati all’opinione pubblica greca, per convincerla ad accettare sacrifici incredibili per restare nell’UE, dove la Grecia è ricevitore netto. Però la loro efficacia è dubbia, specialmente alla luce del fatto che i sacrifici richiesti peggioreranno le cose».


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