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«Hamas ha rotto la tregua»
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Sento dire a un giornale radio mattutino italiano: «Hamas ha rotto la tregua con Israele, ha sparato due missili».

Dunque dobbiamo credere questo: che è stato Hamas a rompere la tregua. Hamas, che governa su un milione e mezzo di palestinesi costretti a mangiare erba (1), senza carburante, con il traffico ridotto a carretti con l’asinello, senza più un’industria locale funzionante, fa la guerra allo Stato più armato dell’area, la quinta potenza tecnologico-militare del pianeta, di cui ha provato la spietata ferocia e la schiacciante superiorità militare; lo Stato che per giunta le controlla l’elettricità, l’acqua e i posti di blocco, con cui strangola Gaza da un anno e mezzo.

Strano. Quel che ricordo, è che da settimane è Israele che minaccia una offensiva in Gaza. Lo Stato Maggiore ripete che è pronto all’azione, aspetta solo l’ordine del governo.

Z’ev Boim, il ministro dell’Alloggio (ossia addetto a rubare case e terreni ai palestinesi, onde far posto alla razza eletta) ha invitato pochi giorni fa il ministro della Difesa Barak ad attaccare Hamas «prima che finisca la tregua».

Anche Gerald Steinberg, analista politico della Bar Illan University (leggi Mossad) ha fatto fretta al governo, il 15 dicembre scorso: «Hamas è più forte, non più debole. La tregua è già rotta. Sta arrivando una nuova amministrazione a Washington, bisogna sviluppare una nuova politica» (leggi: mettere Obama di fronte al fatto compiuto, come abbiamo fatto sempre).

Ma già il 14 dicembre, Tzipi Livni, la ministra degli Esteri, ha dichiarato pubblicamente che Israele «non può tollerare uno Stato guidato da Hamas nella striscia di Gaza; alla lunga, non può tollerare uno Stato islamico estremista alla sua frontiera sud» (2). Chiamando «Stato» il lager autogestito ai confini sud.

E però, dobbiamo credere che è stato Hamas a rompere la tregua. Eccome, dice la radio italiana: ha persino emanato un comunicato.

Lo vado a leggere sulla BBC. La tregua scadeva scadeva il 19 dicembre – secondo gli accordi ottenuti con la mediazione egiziana – e Hamas non la rompe, ma «non la rinnova», perchè «il nemico sionista non ha rispettato le sue condizioni», ossia l’alleviamento del blocco che strangola e affama la gente.

Israele ribatte che l’accordo con mediazione egiziana non contemplava l’alleviamento dell’assedio.

Di testa sua, la BBC aggiunge che «l’agenzia di soccorso ONU dice che il blocco ha creato una profonda crisi di dignità umana».

Decisamente, la RAI non è la BBC.

La verità è che Israele – come scrive Amira Hass, la giornalista ebrea che ha scelto di scrivere da Gaza (3) – sperava che un anno e mezzo di blocco, di fame, di crisi della dignità umana, avrebbe indotto la popolazione di Gaza a togliere il suo sostegno ad Hamas. Invece, il 14 dicembre, Hamas ha indetto una festa per celebrare il 21° anniversario del movimento, e sono scese in piazza 250 mila persone.

«Nè la forza nè allettamenti in denaro hanno spronato le masse a celebrare l’anniversario. Il gran numero di donne che hanno partecipato dimostra, in sè, l’ampio sostegno che Hamas ha guadagnato, nonostante gli assassinii dei suoi leader da parte di Israele; fatto che anzi può aver avvantaggiato Hamas».

Alla folla radunata, il capo di Hamas, Haniyeh, ha annunciato un modesto aumento salariale per gli insegnanti, assitenza finanziaria per 3 mila studenti e diecimila famiglie nel bisogno più estremo. La patetica sfida di un regime che si vuole Stato, anche se dipende dagli aiuti ONU, che sono passati da 70 camion al giorno a 15, perchè Israele ha indurito il blocco.

Il favore della gente di Gaza ad Hamas, dice la Hass, dipende forse da altro. Dal fatto che questo «sperimentato movimento politico ha sempre avuto ragione nel prevedere quel che i suoi avversari e nemici avrebbero fatto. I capi di Hamas si aspettavano che Fatah, nel 2006, avrebbe sabotato le elezioni (quelle che Hamas ha vinto, ndr) e si sono preparati di conseguenza (sgominando Fatah in un breve scontro armato, ndr). E fin dagli accordi di Oslo, Hamas ha conformato la sua politica sull’assunto che Israele avrebbe fatto di tutto per calpestarne l’applicazione», ossia «la soluzione a due Stati nei confini del 1967. La storia dell’espansione delle ‘colonie’ ebraiche,  il sequestro di parte della Cisgiordania e l’isolamento di Gaza fin dal 1993 ha mostrato che aveva ragione Hamas».

Molti più giovani degli anni scorsi si sono arruolati nella forza armata di Hamas.

«Gli scettici potranno obiettare: bella forza, che cos’altro potrebbe fare una gioventù rinchiusa nella Striscia se non andare alla moschea o unirsi alla resistenza?».

Ma ciò significherebbe sottovalutare  la forza della fede.

«In quanto movimento religioso, Hamas non ha fretta; il futuro appartiene all’Islam, anche se lo vedranno i bisnipoti, o i figli dei bisnipoti. E’ un futuro molto reale, la cui evidenza si trova nel Corano: ogni credente può citare i “segni” e sa che l’ora verrà che gli arabi e i musulmani prevarranno».

Questo futuro mitico sarà pure «un rifugio mentale», dice la giornalista. Ma «senza un presente, ciò che resta ai palestinesi di Gaza come in Cisgiordania, è il passato eroico e mistico, e il futuro lontano, come rifugio».

Non è difficile capire che è la forza di un sogno – quel sogno che permette agli affamati di Gaza di non piegarsi – a riempire Sion di rabbia e di paura. E’ un’arma che Israele non possiede.

I suoi «coloni religiosi», che vanno ad occupare le terre altrui in nome della loro «fede», apostrofano i soldati israeliani di origine etipica come «negri», niggers; non è un buon segno, per il futuro del sionismo. Un israeliano su dieci ha scelto di vivere all’aria libera, ossia all’estero.

Così, Israele si affanna a comprare «nuove e avanzate bombe intelligenti» (JDAM-ER, Joint Direct Attack Munitions –Extended Range) appena sviluppate alla Boeing, col dichiarato scopo di «colpire Damasco e Beirut» (4); nuove armi per compensare oniricamente, paranoicamente, quella che le manca.

Così Israele protesta con Mosca perchè questa ha regalato al Libano dieci caccia MiG-29 (poichè tutta la forza aerea libanese consiste in 16 elicotteri e 5 Hawker Hunter britannici degli anni ’50, essa viene di fatto decuplicata); protesta e pretende che Mosca non consegni all’Iran i missili anti-aerei SS-300 - sono apparati difensivi, di 120 chilometri di raggio, ma per Israele rendono più difficile la sognata offensiva contro le centrali nucleari iraniane.

Israele rompe la tregua a Gaza, perchè teme il cambiamento di politica a Washington.
Israele non è mai abbastanza  armata, si sente sempre debole e nuda, e per questo pretende che i suoi nemici vengano disarmati, che siano denudati.

Vuole per questo che l’intero Occidente – l’estremo Occidente senza più religione – si mobiliti contro tutto l’Islam, l’irriducibile «irrazionale» (5).

Sente continuamente che il tempo gli manca, che il futuro non è suo; e per questo si vuole sempre più crudele, spietato, disumano e aggressivo.

L’arma che gli manca non si compra; i musulmani, bene o male, ce l’hanno.

Israele non la trova sul mercato, non la trova nel suo cuore oscuro. Per questo attacca, attacca sempre.




1) Marie Colvin, «Gaza families eat grass as Israel locks borders», Times, 14 dicembre 2008.
2) Gwen Ackerman, «Livni Says Israel Can’t Tolerate Hamas State in Gaza», Bloomberg, 15 dicembre 2008.
3) Amira Hass, «Hamas: not built for surprises», Haaretz, 18 dicembre 2008. Il giornale aveva ritirato Amira Hass da Gaza, perchè i suoi reportages dal territorio assediato irritavano il potere. Ora vi è tornata.
4) «Israel Considers Purchasing New Smart Bombs to Hit Targets in Beirut, Damascus», Naharnet (Beirut), 13 dicembre 2008.
5) L’Occidente del liberalismo totalitario basato – secondo Isaiah Berlin, che lo esalta – su una «assunzione fondamentale: che tutti gli uomini hanno uno scopo vero e uno soltanto, l’auto-direzione razionale», per cui «i fini di tutti devono necessariamente armonizzarsi in un singolo modello universale», ossia il globalismo liberista, il modo di vita americano esteso al mondo. Solo che questo «modello universale», alcuni «lo riconoscono più chiaramente di altri». Per cui «ogni conflitto e ogni dramma scaturisce esclusivamente dall’urto della ragione con ciò che è irrazionale, o non sufficientemente razionale, gli aspetti immaturi e non sviluppati della vita, sia negli individui sia nelle comunità». Come si vede, qui è il sunto della ideologia dell’Occidente estremo (americo-israeliano), il suo «pacifismo», tolleranza e relativismo che si rovescia in bellicismo universale «per diffondere la democrazia» (infatti «le democrazie non si fanno guerre tra loro», ed altre propagande) in realtà per imporre l’omologazione secolarizzata individualista e di massa. Infatti, dice Berlin, «quando tutti gli uomini saranno fatti diventare razionali (con le bombe?, ndr) obbediranno alle leggi razionali della loro natura, che è poi una sola e identica per tutti, e così saranno pienamente rispettosi della legge e insieme, pienamente liberi». E’ evidente che per chi nutra questa visione, il mondo musulmano è l’ultimo «irrazionale», il residuale «non maturo» che lungi dal credere alla «auto-direzione razionale», si sente soggetto («islàm») alla direzione di un Altro. Ma dovrebbe essere evidente anche alla Chiesa di oggi che questa visione è contro ogni religione, oltre contro ogni specificità conformata dalla natura e dalla storia: identità nazionali, linguaggi, pensieri, dedizioni non conformi a ciò che il potere dichiara «razionale». Tutti devono essere «fatti diventare» omologhi, desiderare le stesse cose, essere consumatori di un unico mercato mondiale. Oggi, questo Occidente estremo infuria perchè «sa di avere poco tempo», come il Satana dall’Apocalisse.


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